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25.08.23
NewsChiuse la carriera al Genoa dopo aver vinto il vincibile con l’Inter. Croce e delizia per la presunta anarchia agonistica prima ancora che tattica. Ma che piede e tecnica sopraffina.
Foglie morte – Tre passettini e sbam: le cosiddette punizioni a foglia morta: partivano così. Parabole che planavano in cielo atterrando nell’angolino basso o nei pressi dell’incrocio. Fuori dalla portata dei portieri, i palloni. Fuori dalle consuetudini dei tempi, le traiettorie. La curva di un arcobaleno nel “piede sinistro di Dio”. La poesia del calcio nel gesto tecnico. I calzettoni alla Omar Sivori, i dribbling da fermo, il passo da finto indolente. Più che correre (“corso, participio passato del verbo correre” cit. Gioanbrera) faceva sudare la palla. Questo e altro è Mario Corso. Era nato il 25 agosto del ’41, se n’è andato tre anni fa. 31 presenze nelle nazionali, tre volte candidato al Pallone d’Oro. L’abbuffata di titoli con l’Inter.
Sotto la lanterna – Sedici stagioni con il biscione. Un biennio con la maglia del club più antico in Italia. Arrivò al Genoa neopromosso nell’estate del ‘73, insieme a “faccia d’angelo” Roberto Rosato. Gli anni di Giacomo Berrino presidente, di Arturo Silvestri allenatore. Tre reti in ventitré partite la prima annata: una di testa contro l’Inter (1-1). La beffa delle beffe al sapore di pesto. Nella seconda l’oscar della sfortuna: la tibia fa crack. Tre partite dopo il rientro, altro guaio fisico e stop alla carriera. La strada di allenatore. Al “Ferraris” ci veniva di proposito per le domeniche come osservatore. Una persona garbata e un signore di altri tempi. Quelli delle cosiddette punizioni a foglia morta. Vivono tra le nuvole e nei ricordi.